di Marika Pettuzzo
Soul è il nuovo capolavoro firmato Diney Pixar, dal 25 dicembre disponibile sulla piattaforma Disney+.
La casa produttrice ancora una volta non si smentisce nell’affrontare temi quanto più profondi e attuali, e offre ai suoi spettatori un prodotto che sin dalle prime scene del film forza un processo di identificazione potente con il protagonista della storia, Joe Gardner.
Sono proprio le caratteristiche di questo personaggio a farci credere da subito che il target a cui è rivolto il film non sia affatto un pubblico infantile: Joe è un uomo sulla trentina, insegnante di musica alle scuole medie che porta con sé il sogno di diventare un famoso musicista Jazz, passione trasmessa dal defunto padre.
Un giovane adulto ancora fortemente impegnato nel tentativo di affrancarsi dalla figura materna che auspica per lui un futuro contrario alla precarietà alla quale è costretto inseguendo la propria passione per la musica.
Ecco che il “posto fisso” a scuola diventa per la madre la panacea di un’esistenza che finalmente poggia su basi solide e per Joe la terra di un conflitto che è costretto a vivere con sé stesso.
Da una parte il desiderio di rincorrere il proprio sogno e dall’altra l’opportunità di una certezza verso cui non si può che essere grati.
Un tema attuale per molti giovani adulti che, ancor di più in questo anno segnato dalla pandemia, sentono sotto i piedi il terremoto della precarietà sociale ed economica e dentro di sé la consapevolezza di dover sacrificare una parte della propria energia vitale, in nome di una possibilità che, pur non gratificante, consenta di sopravvivere.
Ma la trama si complica quando il protagonista della storia, proprio all’alba dell’occasione della sua vita, incappa in una caduta fisica (e simbolica) che coincide con l’inizio di un viaggio profondo dentro di sé. Joe, o meglio, la sua anima si ritrova catapultata nell’anticamera dell’aldilà e con essa lo spettatore che vive la dimensione perturbante della morte attraverso suoni dalle trame distoniche e personaggi caratterizzati da una consistenza eterea disturbante.
L’anima del protagonista va in affanno di fronte alla possibilità che il sipario delle sue scelte possa definitivamente chiudersi e, con un altro salto rocambolesco, riesce a sfuggire alla presa della morte per ritrovarsi nell’ante-mondo, il luogo in cui le nuove anime si preparano alla vita terrena strutturando la personalità dell’essere umano che abiteranno.
In questo limbo senza tempo e in uno spazio lontano dalla tridimensionalità del mondo che conosciamo, le anime nasciture plasmano attraverso i “seminari dell’Io” le caratteristiche che prenderanno forma nella personalità dell’individuo. Ciò che però le rende realmente pronte alla vita terrena è la “scintilla”, ovvero quell’energia vitale che ogni anima conquista trovando ispirazione nelle proprie inclinazioni personali (la musica, lo sport, la predisposizione ad aiutare gli altri, etc..). Per trovare la propria scintilla, ultimo tassello necessario alla vita, le “proto-anime” vengono affiancate a mentori che personificano le anime di chi si è distinto nel mondo per le proprie scoperte o i propri talenti.
L’anima di Joe, accidentalmente catapultata nell’ante-mondo, prende in prestito quella di un noto psicologo infantile e ad essa viene affiancata un’anima ribelle “Ventidue”, da tempo bloccata in questo limbo, proprio perché fatica a trovare la propria scintilla e così si rifiuta di scendere al mondo.
Ventidue resta folgorata dalla tenacia con cui Joe cerca in tutti i modi di rimanere ancorato alla propria esistenza, pur foriera di frustrazioni e sconfitte.
Joe, invece, deve alla piccola anima la possibilità di ritrovare la propria scintilla che negli anni era andata perduta lasciando che la passione della sua vita, la musica, si trasformasse nell’unica dimensione in cui riconoscere il proprio valore.
Quello che Joe Gardner compie è un vero e proprio viaggio alla ricerca di Sé che è possibile solo grazie a quella caduta che lo mette, forse per la prima volta, in contatto con ciò che sente davvero. Una caduta che può rappresentare proprio la perdita di vitalità che accomuna diverse condizioni psicopatologiche della nostra epoca e che spesso riguarda la generazione dei giovani adulti.
Nel messaggio del film sembra riecheggiare il pensiero di Spinoza che colloca la società moderna nell’epoca delle passioni tristi, dove non è tanto il dolore a fare da perno all’esistenza ma l’impotenza e la mancanza di senso nei confronti di un futuro che fa dell’incertezza e della precarietà i suoi capisaldi. Il futuro da “promessa/speranza” diventa “minaccia” (Benasayag & Schmit, 2004) e letteralmente ci si veste di una corazza di difese psichiche volte a combattere tale ombra che incombe sull’avvenire. Ecco allora che il desiderio si arresta nell’assoluto presente, come una bolla pronta a scoppiare.
Esattamente come accade a Joe Gardner: la musica, passione della sua vita, perde la sua linfa vitale a scapito di un mero obiettivo che, tuttavia, una volta raggiunto non sembra lasciar altro che insoddisfazione.
Winnicot (197) a questo proposito ci offre un prezioso punto di osservazione relativo al lavoro clinico: “nella ricerca del sé la persona interessata può aver prodotto qualcosa di notevole in termini di arte; ma un’ artista riuscito può essere universalmente riconosciuto e tuttavia aver mancato di trovare il sé di cui egli era alla ricerca (…). La creazione compiuta non risana mai la sottostante mancanza del senso del sé”.
E allora che cosa può restituire questa mancanza?
L’autore parla della possibilità di vivere un’esperienza caratterizzata da una condizione priva di particolari propositi, “un caos non organizzato” accettato e legittimato all’interno di una relazione di fiducia nella quale l’individuo “può raccogliersi ed esistere come unità, non come una difesa contro l’angoscia ma come un’espressione di IO SONO, io sono vivo, io sono me stesso”.
Per Joe Gardner la musica finisce per diventare la sua angoscia più grande poiché diventa l’unica forma di riconoscimento e realizzazione del sé, imprigionandone la creatività e con essa la vitalità.
In qualche modo, il protagonista sembra tradire la natura stessa della sua passione, il Jazz che fa dell’improvvisazione, del contrattempo, della scomodità del ritmo e delle armonie la vera essenza del proprio linguaggio. Il Jazz, come la vita, trova la sua essenza nella curiosità e nella sorpresa, dimensioni che Joe Gardner può finalmente riscoprire grazie alla relazione autentica che insatura con la piccola e sagace anima Ventidue.
Soul è un film che, come rivelato in incipit, si presta maggiormente a un pubblico adulto ma contemporaneamente lascia a chi lo guarda l’irrefrenabile bisogno di veicolare ai più piccoli quel messaggio così chiaro e allo stesso tempo così profondo di perseguire in ogni condizione la ricerca di sé. Per questo la visione con i bambini di età scolare può rivelarsi un’occasione preziosa per costruire con loro un dialogo su temi significativi per la loro crescita.
Benasayag, M., Schmit, G. (2004). L’epoca delle passioni tristi. Feltrinelli Editore.
Winnicott, W. (1971) Gioco e realtà. Armando Editore.
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