HOW TO TALK TO LOVED ONES WHEN YOU’RE WORRIED ABOUT THEIR MENTAL HEALTH
THE WASHINGTON POST - BY ALLISON CHIU - DEC. 1 2020
L’attuale momento storico, caratterizzato da una condizione pandemica in continuo sviluppo e mutamento, è altresì contraddistinto da livelli di malessere e di sofferenza molto elevati, soprattutto tra i più giovani e i bambini. Se l’odierna condizione di crisi ha permesso di comprendere ancor più chiaramente quanto il benessere psicologico sia determinante ai fini della salute individuale e sociale, già nel 2019 il World Economic Forum aveva sottolineato come il disagio psicologico possa essere considerato come uno tra i maggiori rischi dell’umanità.
Ciò nonostante e sebbene alla stregua di quello fisico il malessere psicologico possa riguardare chiunque, quest’ultimo è ancora oggi considerato un tabù su cui gravano pregiudizi e stereotipi che di fatto rendono difficile poterne parlare apertamente.
Estremamente interessante in merito è l’articolo pubblicato il 1 dicembre 2020 su The Washington Post, intitolato “How to talk to loved ones when you’re worried about their mental health”, ovvero “Come parlare ai propri cari quando si è preoccupati per la loro salute mentale”. L’articolo ha inizio con una breve introduzione circa quelle che sono state le numerose conseguenze psicologiche che gli studiosi e gli psicologi clinici hanno riscontrato nei loro pazienti in questi lunghi mesi di pandemia: in particolare, un incremento nei livelli di ansia e depressione, accompagnato da un uso sempre più consistente di alcool e droghe. Altresì, si fa riferimento ad una recente ricerca condotta presso il Centro per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (Centers for Disease Control and Prevention), la quale ha evidenziato come il 25% dei giovani adulti coinvolti nello studio avrebbe preso in considerazione l’idea del suicidio nei 30 giorni precedenti.
L’articolo riprende poi le parole del professor Stephen O’Connor, psicologo clinico e direttore del programma di ricerca per la prevenzione dei suicidi presso il National Institute of Mental Health, il quale afferma che «le conseguenze della pandemia e la risposta necessaria per limitarne l'impatto hanno davvero cambiato lo stile di vita delle persone in modo drammatico e ne hanno ridotto la qualità della vita», assicurando però che sono numerosissime le modalità per essere di sostegno, anche a distanza, a coloro i quali stanno vivendo una condizione di malessere. A tal proposito, John Draper, direttore esecutivo della National Suicide Prevention Lifeline, sottolinea come ci sia una profonda differenza tra l’essere soli e il sentirsi tali e che «mai come in questo momento è importante far sapere alle persone a noi care o per le quali siamo preoccupati, quanto teniamo a loro e quanto esse valgano».
Nell’articolo apparso su The Washington Post vengono dunque suggeriti alcuni modi per essere di supporto ai propri cari, anche senza poter essere fisicamente vicini: Dan Reidenberg, direttore esecutivo del Suicide Awareness Voices of Education, afferma che, anche senza interagire direttamente con qualcuno, è possibile individuare alcuni segnali che permettono di comprenderne il malessere. L’autore suggerisce anche la possibilità di porre domande dirette, come ad esempio «Si stanno lavando i denti? Si stanno cambiando i vestiti? Mantengono pulita la casa? Il frigorifero è pieno?», evidenziando molto bene quanto possa essere significativo l’impatto della solitudine e dell’isolamento sul benessere psichico di una persona e sulla sua capacità di assolvere ai bisogni della quotidianità. È altrettanto importante, poi, come suggerito da Nadine Kaslow, professoressa di psichiatria e scienze comportamentali presso la Emory University School of Medicine di Atlanta, prestare attenzione alle “mancanze” – come telefonate, videochiamate o messaggi di testo ignorati.
Sebbene l’impatto della pandemia abbia ben sottolineato l’importanza della salute psichica per il benessere generale dell’essere umano, alcune persone rivelano ancora profonde difficoltà quando si chiede loro di parlare apertamente di disagio e dolore psicologico, come suggerisce Nadine Kaslow. Tuttavia, insieme ad altri esperti, la dottoressa sottolinea la necessità di “compiere uno sforzo” ed imparare a condividere il proprio disagio.
Sempre nell’articolo del The Washington Post, Doreen Marshall – vicepresidente della Fondazione Americana per la Prevenzione del Suicidio – afferma che «parlare di salute mentale dovrebbe essere simile a chiedere alle persone informazioni sulla loro salute fisica». Marshall raccomanda di chiedere con regolarità alle persone care “come si sentono”, mentre Kaslow aggiunge: «quando si domanda a qualcuno come si sente, è importante fermarsi ad ascoltare attentamente la sua risposta, facendogli comprendere che ciò che ci dice è qualcosa a cui teniamo davvero e a cui vogliamo prestare attenzione». In molti sono, ancora oggi, riluttanti a domandare direttamente a qualcuno se ha mai avuto pensieri suicidari, perché preoccupati di offendere, di instillare quel pensiero nella mente dell’interlocutore o perché spaventati da una possibile risposta positiva. Come afferma Draper però, la ricerca ha dimostrato che chiedere e parlare apertamente di autolesionismo o suicidio non ne aumenta il rischio; al contrario, interessarsi alla salute di una persona cara ed esplicitarle la propria preoccupazione, permette di trasmettere un segnale di cura e di supporto. «Non solo si sta ponendo una domanda diretta, il che può essere estremamente gratificante per chi necessita di un sostegno, ma si sta anche comunicando chiaramente il messaggio “sto prestando attenzione a te e alla tua salute. Ti ho notato e sono molto preoccupato”», ha affermato Bart Andrews, direttore clinico presso il Behavioral Health Response a St. Louis. «Non solo, - continua Draper - se le persone ammettono di avere o di aver avuto pensieri suicidari, è importante fargli sapere che continueranno ad essere sostenute e a ricevere assistenza», «ringraziandoli - come suggerisce O’Connor - per aver avuto il coraggio di condividere tale verità e accogliendo e sostenendo il loro dolore». Allo stesso tempo però, come raccomanda Kaslow, è assolutamente necessario non promettere di mantenere segrete le loro “confessioni”, sebbene ciò possa generare reazioni di rabbia; aiutare qualcuno che sta soffrendo significa anche garantire un supporto psicologico adeguato e immediato da parte di un professionista competente. Infine, vi sono numerosi modi con cui è possibile fornire un sopporto concreto ed immediato in queste delicate situazioni: O’Connor suggerisce, ad esempio, di provare a rendere inaccessibili sostanze potenzialmente pericolose e, allo stesso modo, attuare soluzioni a breve termine per ridurre lo stress, come fare una passeggiata all’aria aperta o organizzare una videochiamata con un amico; sono state anche introdotte linee telefoniche per fornire sostegno e supporto a tutti coloro che si preoccupano per la salute di un proprio caro ma non hanno la possibilità di stargli accanto fisicamente.
Andrews suggerisce, inoltre, la possibilità di proporre conversazioni riguardanti situazioni ipotetiche o immaginarie relative a tematiche suicidarie e di malessere psicologico che permetterebbero di anticipare eventuali bisogni futuri, piantando «un primo seme che lascerebbe aperta la conversazione».
In conclusione, Jonathan Singer, presidente dell’American Association Suicidology, suggerisce di trascorrere più tempo con coloro per i quali si è preoccupati: «quando chi soffre percepisce la vicinanza e la preoccupazione dei propri cari, ne deriva un senso fisico di piacere, comfort, sicurezza e protezione. È qualcosa di molto potente». Anche laddove non fosse possibile rimanere vicini fisicamente a qualcuno che sta attraversando un momento difficile, ci sono comunque molti metodi per sopperire alla distanza: Draper suggerisce, per esempio, di mantenere contatti frequenti attraverso chiamate o videochiamate, ma anche di inviare piccoli regali o doni per fare in modo che l’altro sappia che è nei nostri pensieri giacché «spesso si può essere d’aiuto per chi attraversa un periodo buio, ben più di quanto si pensi».
Nonostante la pandemia abbia messo evidentemente e costantemente a rischio la salute fisica della popolazione mondiale, è importante non sottovalutarne gli effetti anche su quella mentale; sebbene fisicamente distanti, esprimere sentimenti di preoccupazione per i nostri cari, informarci sulle loro condizioni di vita e fornirgli il supporto necessario per confidare pensieri dolorosi e spaventosi sono gesti fondamentali per far sentire le persone meno sole e accompagnarle a chiedere aiuto: parole come "non importa cosa succederà, io ci sarò sempre per te" o "sei così importante per me" possono essere un salvavita e sono incredibilmente potenti per chi si sente solo.
Traduzione e commento di Giulia Romano e Laura Zibra
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