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Comprendere per educare

Immagine del redattore: Studio I.F.P MilanoStudio I.F.P Milano

Quali prospettive per un agire educativo consapevole e trasformativo?


di Riccardo Pardini


Da anni ormai abbiamo sperimentato direttamente cosa significhi vivere nell’epoca della società liquida; abbiamo imparato a considerare l’esperienza umana come qualcosa di multidimensionale collocato di un continuo scambio tra individuo e ambiente, tra interno ed esterno, tra mente e corpo.

Ogni qualvolta ci accingiamo a intraprendere una riflessione sulle “cose care” alle scienze umane sappiamo di dover anzitutto allargare lo sguardo, procedendo in costante equilibro tra precisazioni di merito e considerazioni generali. E anche in questo caso, per parlare di cosa si riveli più fruttuoso al delicato compito dell’educare dobbiamo immaginare che procederemo un po’ alla volta, considerando più cose interdipendenti, tutte necessarie, tutte funzionali alla disciplina dell’Educazione (sia essa rivolta ai bambini, ai ragazzi, agli adulti; ormai sappiamo bene che la pedagogia è cosa riguardante tutte le età della vita).


Che cosa dobbiamo capire per educare, in che cosa dobbiamo essere intelligenti (intelligĕre = capire)?


Il costrutto stesso d’intelligenza, lungo il corso della sua antica storia, ha trasformato la propria identità a partire da metà '800 attraversando i territori della misurazione con Francis Galton e poi Charles Spearman, Alfred Binet e in seguito Lewis M. Terman dell’Università di Stanford, e poi ancora Raven e Cattell. Ha conosciuto poi la stagione del cognitivismo e del problem solving fino a guadagnarsi una concezione multidimensionale, dinamica, articolata affrancata dall’idea che esista un’unica intelligenza (di tipo scolastico) e approdando a concetti maggiormente differenziati. Ne sono un esempio i costrutti d’intelligenze multiple, consegnatoci da Howard Gardner, e quello d’intelligenza emotiva elaborato da Daniel Goleman. Nonpiù una dunque ma molte.


Questo, per fortuna, è diventato il profilo di molte altre caratteristiche umane che hanno assunto gradualmente prospettive multiple. Per tornare ad un esempio eloquente, Howard Gardner psicologo statunitense, arriva a distinguere più manifestazioni fondamentali dell'intelligenza, afferenti a strutture diverse del cervello e indipendenti l'una dall'altra. Nella pubblicazione del suo Formae Mentis discute sia la vecchia teoria sull’intelligenza sia i test standardizzati che sulla stessa si fondano. Gardner chiarisce come i test, fino ad allora, considerassero unicamente due tipi d’intelligenza: quella linguistica e quella logico-matematica. Nella sua idea, l’intelligenza diventa qualcosa che denota anche e soprattutto una differenza individuale e non più un elemento soggettivo misurabile in termini di maggiore o minor quantità. Tutti gli esseri umani possiedono quelle che lui identifica come otto intelligenze, ognuna in misura diversa e per ognuno in una specifica “ricetta” (Linguistica, Logico-Matematica, Intelligenza Spaziale, Intelligenza Corporeo-Cinestetica, Intelligenza Musicale, IntelligenzaInterpersonale, Intelligenza Intrapersonale, Intelligenza Naturalistica, Intelligenza Esistenziale o Teoretica).

Da questa prospettiva iniziale, necessariamente allargata, possiamo procedere immaginando anche quale ruolo giochino questi elementi nell’agire educativo; in che modo si combinano a supporto delle caratteristiche fondanti del ruolo educativo, della missione pedagogica. Questo vale per gli insegnanti ma anche per gli educatori professionali, per i genitori e per tutti gli adulti che, a vario titolo, esercitino tale funzione. Quali sono dunque le intelligenze necessarie al compito dell’educare? In merito a questo, recentemente, il dibattito si è nuovamente acceso per la necessità di re-investire sulle professionalità educanti, sui docenti, in un’epoca di grandi fatiche e poche risorse, di grandi responsabilità civiche e morali.


Quello dell’educare, del formare, è un compito per il quale si rivelano peculiari il saper agire, il saper essere (Rossi, 2005). Esercitare un ruolo significa abitarlo, viverlo attraverso una serie di processi correlati tanto alla struttura delle persone quanto alla possibilità di trasformarsi, d’implementare le competenze e di riflettere dialetticamente su di esse. Esercitare le proprie intelligenze, nel senso etimologico del termine, significa comprendere, esercitarsi a “capire interrogandosi”.

Ad esempio, dovremmo esercitare un’intelligenza di tipo ermeneutico (Rossi, 2005) che ci consenta di leggere con qualità il contesto e le condizioni nelle quali si realizza l’azione educativa, intendendo con questo anche le caratteristiche specifiche di chi apprende inteso come un soggetto unico e irripetibile. In questo senso, le differenze individuali vengono assunte come un vero criterio educativo-didattico chiedendo all’adulto di farsi interprete capace di ascoltare e leggere storie singolari, vissuti specifici, circostanze, tipicità.

Dovremmo poi esercitare con competenza la capacità di costruire un progetto condiviso, inclusivo, intendendo in questo senso l’azione del decidere, dello scegliere cosa fare, in quale direzione andare rifiutando la casualità non intenzionale e scegliendo con fiducia le sfide educative da proporre, da accompagnare. Esercitare un’intelligenza progettuale significa consentire l’accesso allo sviluppo intenzionale delle proprie competenze e della propria personalità attraverso l’esercizio della scelta in continuo equilibrio tra razionalità e creatività.

E poi? E poi non possiamo dimenticare il ruolo che l’affettività gioca all’interno dei processi di apprendimento e di formazione, nelle dinamiche educative. Avere cura di sé e dell’altro passa anche attraverso la “manutenzione” consapevole delle proprie emozioni. Questo sostiene la comprensione dell’effetto che le emozioni giocano sull’agire pedagogico, tra ricchezza e potenziali rischi. La crescita e l’apprendimento non possono realizzarsi in un ambiente che non valorizza le relazioni, i legami. Una cornice nella quale i protagonisti si sentano accolti, riconosciuti e disposti a mettersi in gioco perché legittimati a partire dalle proprie differenze, peculiarità. Solo così potremmo garantirci quella motivazione ad apprendere che costituisce la base necessaria per aprirsi con fiducia a quelle nuove sfide che, proprio perché ignote, a volte generano ansia.

Dovremmo poi agire l’opportunità d’abitare il multiculturalismo attuale, riconoscendo la radice comune dell’umanità. Dovremmo tutelare e sostenere il diritto soggettivo a favorire lo sviluppo della propria identità in un ambiente in grado di promuovere ascolto empatico e implemento del potenziale individuale, consentendo così a bambini e ragazzi di sperimentare relazioni significative e autentiche. Educare, dunque, alle differenze e con le differenze.

Sono questi compiti molto alti e pertanto, a completamento del presente discorso, non possiamo dimenticare un’ultima competenza preziosissima. La capacità cioè di riflettere su di sé, di ascoltarsi e considerare i propri vissuti, il proprio monologo interiore. Educare significa anche sviluppare sensibilità e cura delle proprie competenze introspettive, caratteristiche indispensabili per l’avvicinamento efficace all’altro e all’accoglimento della sua complessità.


Un difficile compito quello dell’educare, una sfida sempre nuova e rinnovata che non consente a nessuno di dirsi arrivato a un punto. Un vero viaggio per esploratori coraggiosi, in effetti, che può regalarci scenari fantastici.

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