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  • Immagine del redattoreStudio I.F.P Milano

Dai fratelli Grimm alla scomparsa della morte

di Silvia Valadè



All sorrows can be borne if you put them into a story or tell a story about them.

Talk with Isak Dinesen by Bent Mohn,

The New York times Book review, 3/11/1957


Credo che le fiabe quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire a educare la mente.

(G. Rodari, “La freccia azzurra”. 1964)



La fiaba è uno strumento che permette di catturare l’attenzione del bambino, di suscitare curiosità, sviluppando il piano emotivo, limitando le paure e suggerendo quelle che possono essere le soluzioni ai problemi che inquietano (Bettelheim, 2005).

Offre simboli che rappresentano linguaggi dell’inconscio, in grado di suggerire al bambino come si compone il cammino dell’autorealizzazione garantendo un finale rassicurante o più o meno tale. L’eroe delle fiabe, superate le difficoltà, viene premiato. Il lieto fine alleggerisce il bambino dalla tensione accumulata, garantendo un risarcimento consolatorio.

La fiaba quindi, trattata da diverse prospettive, suggerisce metodi per permettere al bambino di ottenere degli strumenti tali da strutturarne la personalità e prendere coscienza delle emozioni.

Immedesimandosi nella narrazione ci si può sperimentare nei diversi ruoli, provando l’ebbrezza di essere il protagonista, il brivido di prendere la parte dell’antagonista, interpretare i personaggi minori e cercare di comprendere il messaggio che inevitabilmente la favola porta con sé.

Le emozioni guidano l’essere umano nell’affrontare situazioni difficili e importanti permettendo di aiutare la mente, la ragione, a prendere decisioni (Goleman, 1996).

Questo tema, per i bambini più piccoli, risulta troppo astratto per essere comunicato a parole; appare più semplice esprimersi attraverso un linguaggio simbolico.

La fiaba diventa un mezzo di comunicazione più semplice e diretto per parlare con i più piccoli e costituisce un potente strumento in grado di far capire che quello che stanno provando è condivisibile, aprendo alla presenza degli altri, delle loro menti ed il loro misterioso contenuto.

La tradizione favolistica taglia i secoli: essendo tramandate di generazione in generazione, le fiabe hanno subito spesso modifiche e solo grazie alla trascrizione scritta è stato possibile preservarle e garantirne un’ampia diffusione. È un racconto di meraviglie, che da un danneggiamento o da una mancanza, attraverso mediazioni intermedie, giunge alle funzioni utilizzate in qualità̀ di conclusione.

Le fiabe iniziano con un problema, una situazione iniziale, un’impresa da compiere che, attraverso vari conflitti, verrà in seguito risolta, riportando la situazione iniziale alla normalità (Propp, 1977).

Ricordiamoci che il racconto è un’opera d’arte (Bettelheim, 2005) e come tale l’interpretazione è molto soggettiva; ognuno potrà trarre un significato diverso in base ai suoi interessi e bisogni. Essa consente di sostituire le paure che possono provare i bambini per le immagini archetipiche, fornendo aiuti per superare eventuali ostacoli o animali feroci. La fiaba può infatti aiutare il soggetto a sintonizzarsi col presente, trovando similitudini tra le sue angosce e quelle vissute dal protagonista.

Prendiamo in considerazione Cappuccetto Rosso di Perrault come mezzo d’aiuto per il riconoscimento dell’emozione della paura. Nello specifico la paura della morte, sentimento comune per i bambini sin da tenera età. Questo concetto è presente nelle loro menti senza tutte le sovrastrutture, le credenze religiose o i meccanismi di difesa degli adulti.

I bambini vedono la morte come uno stato terrificante del nulla. Non necessariamente capiscono cosa lo determina e non di rado la immaginano come un compimento dei propri desideri, inconsci e onnipotenti. È compresa come condizione foriera di tristezza e lacrime ma la sua qualità d’irreversibilità tarda ad arrivare.

In loro, infatti, mancano l'esperienza e la conoscenza necessarie a percepire il mondo in modo razionale. Molti attraversano una fase in cui credono che i pensieri e i desideri abbiano potere trasformativo, e dunque magico, sul piano di realtà. Ciò è leggibile come uno sforzo per ottenere un certo controllo sul mondo che li circonda. Il pensiero magico in loro è un normale processo di sviluppo, negli adulti un sintomo che mette i clinici in allarme.

In genere nei bambini, la paura della morte non diventerà patologica. La maggior parte delle paure infantili sono presto superate con l’acquisizione della maturità e lo spostamento della loro attenzione sul qui ed ora. La funzione esplicativa e narrativa degli adulti in questi passaggi rimane comunque fondamentale e in alcuni soggetti determinante.

Si può osservare come la morte abbia lasciato da tempo il suo ruolo immanente nel vivere quotidiano e sia stata sempre più relegata negli ospedali, nei luoghi di cura e nel privato; i funerali, anch’essi, appartengono alla cerchia del rimpianto perdendo la dimensione celebrativa pubblica in cui il paese o la città vedeva passare il corteo funebre, dedicando un momento a riflessioni cupe quanto connaturate nella nostra stessa vita.

Così anche i cartoni animati e le favole hanno via via perso, con rare eccezioni, il valore di cui abbiamo appena parlato, smettendo di farsi carico degli archetipi dell’esistenza e passando materiali veloci e colorati quanto effimeri e insignificanti.

In antitesi, riemergono dalle memorie infantili i fratelli Grimm, linguista uno e filologo l’altro, i quali non avevano alcuna intenzione di scrivere racconti per bambini, quanto più di contribuire alla nascita di un'identità germanica frammentata in centinaia di principati e piccole nazioni, unificate solo dalla lingua tedesca.

Le loro fiabe sono tenebrose, con particolari a tinte forti, contengono tematiche universali che appartengono alla realtà psichica dell’essere umano, indipendentemente dalla sua età anagrafica, e rappresentano metafore della vita, raccontano qualcosa di noi, e nel farlo inevitabilmente ci aiutano a crescere.

"Il succo di queste fiabe non è la morale, ma piuttosto la fiducia di poter riuscire. La vita può essere affrontata con la fiducia di poter sormontare le sue difficoltà o con la prospettiva della sconfitta: anche questo costituisce un importantissimo problema esistenziale. L’insegnamento più grande delle fiabe può essere espresso nella pedagogia della riuscita, proprio perché portano esempi che rappresentano una vittoria sul male” scrive Bettelheim.

Per questo le fiabe meritano di essere raccontate ai bambini nella loro interezza strutturale, che comprende anche passaggi difficili e descrizioni di dipartite più o meno liberatorie.

I bambini hanno bisogno di passare attraverso la storia e la sua ripetibile struttura anche consolatoria, in cui attraverso vari passaggi strutturati, e dopo il climax narrativo, alcuni pezzi tornano al loro posto e altri non ci saranno più.

All’epoca del coronavirus i bambini sono stati costretti ad un corso accelerato di consapevolezza della caducità della vita, del concetto di malattia, di separazione, di sofferenza e di perdita, in assenza di rituali contenitivi e risignificanti, spesso circondati da adulti perplessi e spaventati quanto loro.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito al progressivo ed inesorabile edulcorarsi delle narrazioni per bambini; accompagnare i più e meno piccoli con fiabe gloriose come gli scritti dei fratelli Grimm e quelle di Perrault appariva una crudeltà alla quale preferire dimensioni più amene.

Al termine di questi ultimi e disastrosi anni, le nostre giornate sono iniziate e finite con bollettini di malati e caduti, con indicazioni su igienizzazioni e restrizioni varie. Diversi genitori ed educatori si sono trovati di fronte a richieste corali e insistenti di spiegazioni del concetto di morte, privi del contributo che alcune tipologie di narrazioni archetipiche ci hanno da sempre fornito.

Certo, ripensata ora, la palestra mentale ed emotiva che queste fiabe avevano assume tutto un altro significato.

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