top of page
Immagine del redattoreStudio I.F.P Milano

La Mediazione Familiare tra obiettivi espliciti ed esiti trasformativi.

Aggiornamento: 12 gen 2019


di Riccardo Pardini



Da più di trent’anni ormai la Mediazione Familiare (MF) è  diffusa e presente in Italia. Caldeggiata e suggerita da molti quale strumento di risoluzione alternativa delle dispute (ADR), s’identifica come un percorso riservato a quei genitori che, prima durante o dopo lo scioglimento del legame di coppia (a qualsiasi titolo costituitasi) tentano di preservare le competenze necessarie per continuare ad intestarsi la responsabilità genitoriale, nonostante la crisi coniugale imperversante. Un prezioso dispositivo di prevenzione del rischio e del danno che agisce a monte di possibili esiti sintomatologici nei figli. Nessun compito valutativo o interpretativo. Uno spazio protetto e dedicato, autonomo dal contesto giudiziario, nel quale favorire collaborazione, negoziazione e scambio costruttivo tra i genitori. Obiettivo cardine di un percorso di MF è potenziare le risorse residue dei genitori, mantenendo il più possibile uno sguardo convergente sui figli e riducendo gli effetti dannosi del conflitto su di loro. Un processo evolutivo dall’identità specifica e altrettanto specifiche caratteristiche metodologiche. Un intervento con un profilo difinito, cadenza opportune e un timing chiaro. La mediazione familiare richiede motivazione, volontarietà e rispetto delle istanze reciproche in merito a quanto affiora durante il succedersi degli incontri. Possiamo dire che in genere, l’esito conclusivo di un intervento di mediazione consiste nel raggiungimento d’intese condivise che i genitori, se necessario e richiesto, condividono con i propri legali e riferiscono al Giudice contestualmente agli eventuali procedimenti posti in essere. Negli anni, grazie alle riflessioni elaborate in seno alla comunità scientifica dei mediatori, alla trasformazione, alla ricerca e al perfezionamento dei modelli esistenti, questo intervento si è ulteriormente sviluppato mettendo in luce non solo i già noti aspetti di prevenzione del danno e di riduzione del rischio ma anche quegli elementi di potenziale trasformativo che garantiscono la crescita, il cambiamento e l’evoluzione degli attori protagonisti. Se enucleassimo con attenzione il processo interno tipico di un percorso di mediazione familiare,  riusciremmo sicuramente a confermarne gli obiettivi espliciti (pattuiti e concordati con i protagonisti fin dall’inizio) ma potremmo anche osservarne alcuni potenti effetti. Anche se indiretti, questi benefici lambiscono e interessano l’esplicazione soggettiva della potenziale trasformativo che ognuno possiede. Il processo della mediazione familiare segue delle chiare direttrici metodologiche:

la riduzione della conflittualità genitoriale la progettazione condivisa della riorganizzazione familiare la tutela e la salvaguardia dei legami affettivi con i figli, nel rispetto dei loro bisogni.

Allo stesso tempo, però, l’azione del mediatore familiare e l’intervento in sé permetterebbero la liberazione del potenziale evolutivo e trasformativo individuale,  capace di traghettare gli adulti oltre il senso di fallimento e di perdita o l’incistarsi disfunzionale di belligeranza a danno dei figli. Per gli adulti, apprendere e modificare le proprie prospettive significa attivare un processo di revisione delle pregresse esperienze, (dei loro significati e del loro senso) attraverso una “riflessione critica” socializzata, condivisa. Nella ricerca d’intese concordemente negoziate, nella riattivazione di una comunicazione efficace, nel lavoro di convergenza costantemente ricondotto ai figli e ai loro bisogni, i genitori  iniziano a beneficiare nuovamente di spinte evolutive importanti.  Questo il vero potere della mediazione. La sua valenza clinica in senso trasformativo. Attraverso le sue tecniche tipiche, i suoi focus, le sue specificità, la conduzione, un contesto critico e riflessivo collettivo in grado di mettere i genitori e le famiglie nella condizione d’affrontare un cambiamento re-investendo piuttosto che latitando, aggredendo, dilaniando o amputando parti di sé.

Questa filosofia della trasformazione attraverso la riflessione “nella crisi e nel confronto con l’altro da sé” influisce potenzialmente anche a livello sociale. Chi beneficia di una simile esperienza, finisce per portarla con sé anche fuori dalla stanza di mediazione, nel mondo, a sostegno di una cultura civica maggiormente cooperativa, dialogante, inclusiva e “aperta” ad accogliere la crisi non come un fatto violento e disperante ma come una faticosa (e preziosa) opportunità di crescita e di cambiamento.

Comments


bottom of page