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I nostri figli in quarantena: il potere della genitorialità tra responsabilità e resilienza

Aggiornamento: 7 apr 2020

Di Francesca Locati



Una delle domande che tormentano noi genitori, giorno e notte, in questa fase eccezionale delle nostre vite riguarda i nostri figli.

Come vivranno questo periodo di reclusione? Rimarranno segnati da questa esperienza? Ne usciranno cambiati? Traumatizzati?

I genitori sono preoccupati dal prolungarsi dell’esperienza dell’isolamento sociale, l’impossibilità di trascorrere sufficiente tempo all’aria aperta, la radicale modifica della quotidianità.

Ma l’esperienza della quarantena, seppur condivisa, non si esplicita per tutti nel medesimo modo.

In questo momento ci sono bambini che convivono senza tregua in condizioni di conflitto o violenza all’interno delle mura domestiche, bambini che hanno perso uno o più parenti a causa dell’epidemia, figli di operatori sanitari che non vedono il proprio genitori o i propri genitori da settimane, bambini che temono per la salute di persone vicine fragili e spaventate dal virus. Ancora ci sono bambini che vivono questa esperienza come una possibilità di tornare ad essere al centro della vita dei loro genitori o che sembrano non porsi alcun problema rispetto al cambiamento della loro routine o ancora che beneficiano della presenza dei genitori bloccati dagli impegni lavorativi.

È inevitabile considerare che ogni bambino, ogni famiglia, vivrà all’interno delle proprie mura, una esperienza unica e personale, dove anche i nuclei più funzionali si scontrano con momenti di tensione, angoscia, paura, sconforto, nervosismo, rabbia.

Nei casi di violenza intrafamiliare o lutti, il rischio che questa esperienza si configuri come un’esperienza traumatica è concreto. Nel resto delle condizioni possibili non parliamo necessariamente di traumaticità, ma dell’esposizione a stress più o meno intensi che si confrontano con risorse più o meno strutturate dei bambini che li subiscono. L’effetto di questa situazione, tuttavia, è legata non solo alla unicità dell’individuo-bambino, ma anche dei suoi genitori, della sua famiglia allargata e della condizione di emergenza che impatta in modo diverso in base al singolo nucleo famigliare, poiché tutte queste componenti contribuiscono a disegnare in modo unico quel complesso campo di elementi che definisce lo psichismo di un bambino.

Difficile, quindi, poter fare un discorso generale e districarsi da questa complessità per comprendere la specificità di ognuno. Ogni tentativo, lo considero, io stessa, riduttivo.

Tuttavia, c’è un’arma protettiva per i nostri figli che ha un effetto trasversale a qualsiasi condizione, qualsiasi esperienza negativa, anche quelle tecnicamente “traumatiche” e quindi più gravi: noi genitori.

I genitori sono potenzialmente in grado di fungere da ombrelli protettivi per qualsiasi bambino in qualsiasi situazione. Quando parliamo di genitorialità e di come un genitore può intervenire a supporto del proprio figlio, potremmo parlare tecnicamente di “funzione riflessiva”, una definizione che comprende dentro di sé molteplici sfaccettature della relazione tra genitore e figlio. Significa individuare la prospettiva dei propri figli, interessarsi benevolmente della loro mente, sintonizzarsi e sapersi mettere “nei loro panni”. Vuol dire osservare il comportamento del bambino e scorgerne le emozioni ed eventuali difficoltà, essere emotivamente disponibili ad aiutarli, a verbalizzare e dare significato alle proprie reazioni e a quelle del mondo intorno a lui, significa saper riflettere sui pensieri e sentimenti del bambino senza avere la presunzione di sapere per certo da cosa sia abitata la sua mente. Per fare ciò, è imprescindibile saper decentrarsi, per riconoscere il confine tra i propri pensieri e sentimenti e quelli del bambino, saper regolare la propria aggressività ed essere consapevoli dell’impatto dei nostri stati d’animo sui nostri figli.

I genitori che mettono in campo questa competenza, attivano nei figli lo sviluppo e la maturazione di una altrettanto complessa capacità la “mentalizzazione”: l’abilità di riconoscere i propri sentimenti, esprimere in libertà i propri pensieri e comprendere ed elaborare quello che succede nel mondo e nella relazione con gli altri.

Siamo proprio noi genitori, quindi, che possiamo dare, in questo momento storico, voce alle emozioni complesse che si muovono nei cuori dei figli, ai pensieri difficili, e “rinarrare” quello che succede dentro e fuori di noi, per restituire un senso compiuto alle loro esperienze.

La convivenza forzata e l’isolamento da fonti di aiuto, non ci aiutano nel difficile compito di mantenere e perseguire un sufficiente equilibrio nella gestione delle nostre emozioni e stress. Tuttavia, è fondamentale che questo sforzo non venga meno, anche chiedendo l’aiuto di un professionista, al fine di offrire con il nostro esempio, un modello di gestione della situazione ai nostri figli. A rendere questo processo più complicato, oggi, è la sofferenza e l’insofferenza che può essere attivata dai momenti di difficoltà dei bambini stessi. Ci troviamo, penso tutti noi, a gestire il prodotto di tali difficoltà: agitazione e ansia, paure, difficoltà di addormentamento, crisi di pianto o di angoscia, richieste di attenzione eccessive, regressioni. Ecco, è in questi momenti che dobbiamo ricordare che i “capricci” non esistono e che dietro ognuna di queste e altre manifestazioni c’è una richiesta, un bisogno profondo, che oggi è necessario, più che mai, cercare di cogliere primariamente noi, per poi aiutare i nostri figli a comprendere ed elaborare. Perché, altra cosa da tenere bene a mente: i bambini capiscono tutto, sempre più di quello che pensiamo o che possiamo notare, nel bene e nel male. È così, quindi, con il nostro esempio, con la disponibilità di accogliere i momenti di fatica, la possibilità di narrare in maniera adeguata quello che succede dentro e fuori il confine di casa, che possiamo aiutare i nostri figli, molto più che con “un’ora d’aria”.

Recenti ricerche hanno dimostrato come una adeguata funzione riflessiva genitoriale può in casi di abuso sessuale in infanzia, proteggere i bambini dallo sviluppo di un Disturbo Post Traumatico da Stress. Questa scoperta è potente e significativa, perché è chiaro che anche per esperienze molto più terribili e gravi di quello che mediamente stanno vivendo i bambini in questo momento, i genitori hanno una considerevole possibilità di intervento nell’esperienza soggettiva dei figli.

Da un lato, è una scoperta che lascia ai genitori un senso di enorme responsabilità: la loro tenuta dipende da noi.

Dall’altro, ci offre una potente arma: possiamo intervenire per offrire il riparo di cui hanno bisogno.


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