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La Cattedrale di Notre Dame: la caduta delle nostre certezze interne

di Emanuela Brusadelli PhD, Psicologa e Psicoterapeuta


Talvolta, ciò che succede nel mondo costituisce un momento in cui noi stessi inevitabilmente ripensiamo alla nostra vita. Ne è un esempio quando assistiamo a un incidente stradale, che ci porta a ridimensionare le nostre priorità e urgenze, non vedendole più come così importanti ed essenziali.


La Cattedrale di Notre Dame da sempre rappresenta un simbolo di Parigi e della Francia, con oltre 12 milioni di visitatori ogni anno, ed il grosso incendio avvenuto è un evento tanto grave quanto inaspettato che ha modificato il panorama della città esistito fino a quel momento. Per farla breve, Nostre Dame era una certezza per tutti.


Se utilizziamo questa come metafora per ragionare su noi stessi, nel corso della vita ciascuno attraversa la caduta di alcune sue certezze, come la fine di una amicizia importante e di lunga data, il tradimento in un rapporto amoroso, o la perdita del proprio lavoro. Si tratta in tutti i casi di eventi intensi e dolorosi che ci portano a dover riorganizzare il nostro mondo interno.


Accanto a questi, però vi sono anche altre certezze che nel tempo vengono meno, che costituiscono delle tappe faticose, ma necessarie per il nostro percorso di crescita, di maturazione e di vita a più livelli.

Quando siamo figli, progressivamente la visione dei nostri genitori cambia, e spesso passa da una visione più idealizzati di “supereroe” quando siamo piccoli, a una più realistica in cui siamo in grado di vedere sia le loro risorse che le loro fragilità. Questa messa in discussione delle figure genitoriali consente la strutturazione in età adolescenziale di una propria identità, e in età adulta si traduce nel fare i conti con l’inversione dei ruoli, quando sono i figli a prendersi cura dei genitori che invecchiano. Nel percorso di crescita, inoltre, attraversiamo diversi contesti sociali ed educativi, e dobbiamo affrontare momenti come l’ingresso nel mondo dei pari all’asilo, la fine della nostra identità come studenti e il passaggio a quella di lavoratori.

Per molti di noi, il lavoro definisce una fonte di reddito ma più in generale “chi sono”, in un incrocio intricato fra identità personale e professionale. Questo aspetto costituisce un’arma a doppio taglio: mentre da un lato questa attitudine porta a impegnare notevoli energie nel lavoro, dall’altra rischia di portare a un esaurimento dell’individuo, con lo sviluppo di problematiche quali ad esempio il burn-out,e di far sentire la persona disorientata e spaventata quando quella esperienza lavorativa si conclude, come ad esempio quando si va in pensione: “e adesso chi sono io?”.

Tale difficoltà c’è anche per le persone che scoprono di non poter fare dei figli, per quelle che sentono di vivere in un corpo maschile o femminile in cui non si riconoscono, per i bambini che scoprono di essere stati adottati, e in moltissime altre situazioni.


Quando siamo genitori, dobbiamo fare i conti con l’accettazione che nostro figlio (naturale o adottato) non è come noi vorremmo che fosse, che detiene una propria personalità (che è diversa da tutti gli altri figli e, in quanto tale, unica) e che farà delle proprie scelte nella sua vita.

Nel tempo, è anche importante riconoscere al figlio lo status di adulto, che comporta una propria ristrutturazione identitaria anche a fronte del cosiddetto “nido vuoto”, ossia quando i figli escono dalla casa familiare, e quando questi diventano genitori a loro volta.

Quando l’età avanza, cambia il ruolo all’interno della famiglia e nella società, ma anche la propria personalità, a furia delle numerose riorganizzazioni sopra descritte. In più, vi è la presenza di propri cambiamenti fisici, della sensazione di non essere più come prima e di non riuscire a fare cose che prima si reputavano normali. Tutto questo incide sul tono dell’umore, unitamente alla percezione dell’avvicinamento del fine vita, che porta con sé numerose paure e preoccupazioni, fino a una vera e propria angoscia.


Tutti questi passaggi di vita sono faticosi a più livelli, e talvolta ognuno di noi può sentire l’esigenza e la voglia di condividere il peso di queste emozioni con un professionista, soprattutto quando si presenta una sorta di “blocco” in uno di questi che rallenta o interferisce con il passaggio a quelli successivi, e che porta un malessere e/o una sofferenza interna, di cui la persona a volte non è consapevole e non riesce a darne un senso: “sto male ma non so’ perché” “c’è qualcosa che non va ma non so cosa”. Questo discorso vale, a maggior ragione, quando nella vita ci succede qualcosa di importante, inaspettato e doloroso che cambia il nostro modo di vedere le cose, come il panorama di Parigi senza la guglia di Notre Dame.


In conclusione, alcune certezze devono venir meno per permetterci di crescere e progredire, mentre altre crollano per altre ragioni, e in tutti questi momenti dobbiamo lavorare faticosamente per ristrutturare la nostra identità, in un lavoro di costante mutamento e progresso alla ricerca del nostro benessere.

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