La prospettiva della teoria polivagale nella terapia
di Marika Pettuzzo
L’essere umano è per natura un essere sociale spinto ad interagire e creare relazioni con gli altri. In Bantu africano, la parola ubuntu sta a significare che una persona diventa una persona soltanto tramite le altre persone. Tale assunto attraversa secoli e culture e lo stesso Aristotele, nel IV secolo a.C., definiva l’uomo un animale sociale per la sua attitudine ad aggregarsi ad altri esseri umani.
Il filosofo partiva da tale verità nella prospettiva politica di costruire una società in cui ogni membro si sentisse sicuro e protetto a partire dalla regolazione dei comportamenti reciproci. Tuttavia tale bisogno, ancor prima che in un sistema collettivo, si esprime nel neonato nell’atto del nascere e del ricercare da subito un senso di sicurezza nella relazione con l’altro. Tale senso di sicurezza corrisponde alla regolazione, attraverso il caregiver, dei propri stati interni generati dalla percezione dei propri bisogni primari (fame, sete) e di accudimento. Le esperienze precoci e positive di co-regolazione tra il neonato e il caregiver sono il presupposto alla base dell’attaccamento sicuro e consentono di scrivere una storia basata sulla fiducia negli altri e sulla possibilità di sviluppare un pattern di comportamenti finalizzati all’ingaggio sociale.
La co-regolazione risiede alla base di ogni relazione positiva: alleanze lavorative, amicizie durature, relazioni sentimentali ma, se un individuo non ha avuto la possibilità di co-regolarsi durante l’infanzia, continuerà a sentire tale mancanza anche nelle relazioni adulte.
In tal senso, il trauma sperimentato sia come commissione (atti lesivi) che come omissione (mancanza di cure), rende la co-regolazione pericolosa e interrompe lo sviluppo delle competenze atte ad entrare in relazioni sicure con gli altri.
In assenza di opportunità di connessione, il disagio che ne consegue si esprime sia a livello emotivo/comportamentale che su base fisiologica con significative ripercussioni sul sistema nervoso autonomo. Esso funziona come un sistema di sorveglianza che entra in azione nel tentativo di stabilire sempre un senso di sicurezza nell’individuo, anche a costo di esaurirne le risorse attraverso il ricorso continuo a risposte non adattive. In tal caso i percorsi finalizzati alla connessione con gli altri vengono rimpiazzati da pattern di protezione e difesa.
Perché se è vero che gli esseri umani sono programmati per vivere in connessione l’uno con l’altro, sono allo stesso tempo programmati per sopravvivere. È per questo che quando entrare in connessione non è più percepito in maniera sufficientemente sicura, il nostro sistema nervoso autonomo ci allontana dagli scambi sociali o li rende altamente conflittuali, in funzione della nostra risposta di sopravvivenza di fronte ad un pericolo.
La teoria polivagale, nata nel 1994 dagli studi del neurofisiologo Stephen Porges, fornisce una comprensione fisiologica di come il sistema nervoso autonomo possa modellare le esperienze di sicurezza del paziente e influire sulle sue capacità di connessione con gli altri. In particolare la teoria polivagale prende il nome da un nervo chiamato vago il cui tono, secondo il Dr. Porges, può essere sin dalla nascita un indicatore di resilienza o rischio per i neonati.
Il sistema nervoso autonomo funziona quindi come un sistema di controllo che ha l’obiettivo di proteggerci; esso valuta il grado di sicurezza e pericolo rispetto a ciò che accade dentro e intorno ai nostri corpi, ma anche nel legami che abbiamo con gli altri. Questo monitoraggio si attiva al di sotto della nostra soglia cosciente e innesca un processo chiamato neurocezione nel quale il sistema nervoso autonomo scansiona l’ambiente alla ricerca di segnali di sicurezza, pericolo e minaccia alla vita, senza coinvolgere le parti pensanti del nostro cervello.
Il funzionamento del sistema nervoso autonomo che è costituito da due branche principali, il simpatico e il parasimpatico, risponde ai segnali e alle sensazioni provenienti dal mondo interno ed esterno attraverso tre vie. Ognuna di loro ha un pattern di risposta caratteristico (chiamato stato autonomico) che, come abbiamo detto, ha come obiettivo la sopravvivenza dell’essere umano.
Il sistema nervoso simpatico si trova nella parte mediana della spina dorsale e rappresenta la via che ci prepara all’azione. Risponde a segnali di pericolo e innesca il rilascio di adrenalina, che alimenta la reazione di attacco-fuga.
Nel sistema parasimpatico, la teoria polivagale considera le due vie che si estendono lungo il nervo vago. Dal tronco encefalico alla base del cranio, il vago viaggia su due direzioni: verso il basso, attraversando polmoni, cuore, diaframma e stomaco, e verso l’alto, connettendosi con i nervi nel collo, nella gola, negli occhi e nelle orecchie, gli stessi deputati ad inviare segnali di sicurezza sin dalle prime interazioni tra il neonato e il suo caregiver.
Il vago quindi si divide in due parti: il tratto ventro-vagale e il tratto dorso-vagale.
Il tratto ventro-vagale risponde a segnali di sicurezza e favorisce la sensazione di avere un ingaggio e delle connessioni sociali sicure. Di contro, il tratto dorso-vagale risponde ai segnali di estremo pericolo e ci spinge ad allontanarci dalle connessioni e dalla consapevolezza, verso uno stato protettivo di collasso. La sensazione del sentirsi congelati, intorpiditi o “non presenti” coincide con l’attivazione del vago dorsale.
Nella teoria polivagale è stata identificata una gerarchia di risposte, insita nel nostro sistema nervoso autonomo e ancorata allo sviluppo evoluzionistico della nostra specie: le origini del tratto dorso-vagale della branca parasimpatica e la sua risposta di immobilizzazione risalgono ai tempi dei nostri antenati vertebrati ed è il tratto più antico. La branca simpatica e il suo pattern di mobilizzazione è quella che si sviluppa immediatamente dopo. L’aggiunta più recente, il tratto ventro-vagale della branca parasimpatica, introduce i pattern di ingaggio sociale caratteristici dei mammiferi.
Quando ci troviamo saldamente ancorati al nostro tratto ventro-vagale, ci sentiamo sicuri e connessi ma una improvvisa sensazione di pericolo ci può far precipitare al di fuori di questo stato fino ad arrivare all’attivazione del sistema simpatico. Ecco allora che siamo mobilizzati ad agire (attacco o fuga). Metterci in movimento ci può aiutare a tornare in uno stato sicuro e sociale; tuttavia, è quando ci sentiamo intrappolati, quando sentiamo di non poter sfuggire al pericolo che il tratto dorso-vagale ci costringe a fare un passo ancora più indietro: ci spegniamo per sopravvivere. Nelle persone che sperimentano dei traumi questo pattern di risposta rischia di essere quello privilegiato perché è l’unico attraverso il quale possiamo sperimentare un senso di sicurezza, seppur in una modalità disfunzionale.
Nella teoria polivagale, il sistema nervoso autonomo viene immaginato come una scala sulla quale sperimentiamo quotidianamente i cambiamenti autonomici generati dalle esperienze che viviamo. È quando le tre componenti del nostro sistema nervoso autonomo lavorano insieme che sperimentiamo benessere, perché ci consentono di sopravvivere nei momenti di pericolo, rilevando la minaccia, e di inibire una risposta di sopravvivenza quando al contrario ci sentiamo al sicuro.
In assenza dell’abilità di inibire risposte difensive, il sistema nervoso autonomo utilizza continuamente una delle due strategie di sopravvivenza, mantenendo l’individuo in uno stato di mobilizzazione attivata (che spesso coincide con vissuti di ansia, irritabilità, rabbia e panico) oppure di immobilizzazione (con la comparsa di sintomi depressivi, dissociativi, isolamento e un generale senso di intorpidimento e mancanza di energia).
Nella vita di molte persone, la co-regolazione, ovvero la possibilità di sentirci al sicuro in presenza degli altri e di sperimentare rotture e riparazioni relazionali, è un’esperienza poco familiare se non del tutto inesistente. In questo senso, il setting terapeutico può diventare l’occasione in cui è possibile sperimentare, in un ambiente sicuro, il processo di co-regolazione e soprattutto divenire maggiormente padroni e consapevoli delle proprie risposte autonomiche.
I terapeuti hanno la responsabilità di regolare il loro stato autonomico, facendo leva sul proprio funzionamento ventro-vagale all’interno della relazione con il paziente. Una parte fondamentale del processo della terapia è quella di accostarsi al paziente con il proprio stato ventro-vagale, offrendo segnali di sicurezza che passano dallo sguardo, dal ritmo e dal tono della voce. Quando due sistemi nervosi autonomi iniziano a co-regolarsi nella connessione ventro-vagale, essi formano un circolo vizioso che crea una spirale verso l’alto di tono vagale crescente. Per i pazienti, queste esperienze permettono di costruire nuovi pattern autonomici, e i nuovi pattern portano con sé gli inizi di una nuova storia da scrivere.
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