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  • Immagine del redattoreStudio I.F.P Milano

Maternità e carriera al tempo del Coronavirus

Come la pandemia ha influito sulla quotidianità delle madri lavoratrici


di Giulia Romano e Laura Zibra


A partire dall’8 marzo 2020, momento in cui l’OMS ha dichiarato lo stato di pandemia, ogni cittadino italiano è stato investito della responsabilità civile - e morale - di rispettare alcune semplici ma indispensabili regole necessarie a contrastare la diffusione del Coronavirus. Le parole #restateacasa, ripetute quasi come un mantra, hanno accompagnato il lento susseguirsi di quei giorni primaverili: in quei momenti si è riscoperto, e ampiamente diffuso, un profondo senso di comunità e di solidarietà. McMillan e Chavis (1986) hanno definito il senso di comunità come “la certezza soggettiva che i membri hanno di appartenere ed essere importanti gli uni per gli altri e per il gruppo e una fiducia condivisa nella possibilità di soddisfare i propri bisogni come conseguenza del loro essere insieme” ed è proprio nei momenti di smarrimento e di incertezza che la percezione di unità si rafforza. Ed ecco allora che a fronte dell’impossibilità di essere insieme fisicamente, la creatività e la tecnologia sono venute in nostro soccorso e abbiamo scoperto nuove risorse per soddisfare una naturale esigenza di appartenenza; ma le numerose e commoventi parole di speranza hanno ben presto lasciato il posto a una crescente situazione di disagio, dando voce a sensazioni di timore e preoccupazione circa il futuro, il lavoro, le relazioni, la salute e la scuola. Ad oggi è possibile parlare di una vera e propria “pandemic fatigue”, di un diffuso e crescente stato di stress e demotivazione, manifestato dai cittadini europei, derivante dal perdurare delle restrizioni imposte per contrastare l’emergenza sanitaria in corso. Se è indubbio che le misure di isolamento sociale abbiano influito negativamente sulla salute psicologica dell’intera popolazione - tanto in quella adulta quanto in quella pediatrica si è osservato un significativo incremento di sintomi e disturbi psicologici come ansia, depressione, rabbia, disturbi del sonno, difficoltà emotive e comportamentali o sintomi riconducibili a un disturbo da stress post traumatico - è allo stesso tempo evidente come alcune categorie siano risultate maggiormente colpite di altre.

Innanzitutto, l’idea che tradizionalmente il lavoro non retribuito (che include anche il lavoro di cura di bambini, anziani e malati, oltre a quello domestico) ricada prevalentemente sulle donne risulta confermata dall’evidenza dei dati OCSE aggiornati al 2018, i quali mostrano come ancora le donne siano impegnate nel lavoro di cura per 301 minuti giornalieri, a fronte dei 131 minuti spesi dagli uomini. Durante i lunghi giorni di lockdown, i genitori, ed in particolare le madri, si sono ritrovati a dover gestire il loro tempo, bilanciando la vita personale, il lavoro e l’istruzione dei figli senza la possibilità di ricevere alcun aiuto esterno. La chiusura delle scuole, infatti, con la conseguente esigenza di recuperare il tempo perso e i contenuti non svolti del programma, si è inevitabilmente scontrata con la necessità dei genitori di riorganizzare il proprio lavoro in smartworking, sfumando così gradualmente, ma inevitabilmente, i confini tra ruoli lavorativi e ruoli familiari. Non è un caso allora che i livelli più elevati di distress psicologico ed esaurimento emotivo siano stati denunciati proprio dalle madri, come dimostrato dalle numerose ricerche finalizzate a comprendere l’impatto psicologico del lockdown sulle figure genitoriali (1). Più in generale, poi, è emerso che le donne hanno sperimentato livelli di stress e disagio psichico più elevati degli uomini: il 43%, quasi una su due, si è dichiarata stressata, il 21% con umore depresso (contro il 15% degli uomini) e il 28% con disturbi del sonno (contro il 19% degli uomini); le donne denunciano poi più conflitti relazionali (una su dieci), problemi di coppia e problemi con i figli (Centro Studi CNOP 2020). La situazione è stata, ed è tuttora, ancora più critica per le madri single, per le quali in una nazione che ha già un tasso di disoccupazione femminile tra i più alti tra i paesi OCSE (oltre il 50%), la probabilità di perdere il lavoro o parte del proprio reddito aumenta a fronte della necessità di farsi interamente carico della cura dei propri congiunti.


Che l’occupazione femminile in Italia costituisca un elemento di criticità per il nostro Paese non è certo una novità: sempre più neomamme abbandonano il lavoro e secondo i dati dell’ultimo bollettino dell’Ispettore del Lavoro, nel 2019, 37.611 donne si sono dimesse dopo il parto, quasi il triplo dei neopapà. Con queste premesse, le restrizioni imposte per contrastare la diffusione del Coronavirus, prima fra tutte la chiusura delle scuole, non potranno che accrescere le profonde disuguaglianze di genere che ancora compenetrano il nostro Paese.


Alla luce delle oggettive difficoltà nella gestione della vita quotidiana durante i giorni di lockdown, causate anche da perdita di lavoro o riduzione del reddito, è necessario tenere in considerazione anche gli effetti psicologici derivanti da queste inaspettate situazioni di precarietà: numerose ricerche hanno messo in evidenza come il livello di gravità dei comportamenti disfunzionali dei bambini manifestati durante i mesi di lockdown - come disturbi del sonno, atteggiamenti aggressivi e antisociali, disturbi del comportamento alimentare – sia correlato alle restrizioni della loro vita sociale e statisticamente associato al grado di malessere esperito dai loro genitori. Una recente ricerca ha inoltre evidenziato come il benessere psicologico della madre abbia, rispetto al reddito, un peso doppio nel predire il comportamento e l’affettività adulta del bambino (Clark et al. 2016). Ed ancora, in un contesto caratterizzato da confini sempre meno netti, in cui il tavolo da pranzo si trasforma all’occorrenza in una scrivania da lavoro o su cui svolgere i propri compiti, si perdono anche i vantaggi del gioco tra genitori e figli perché lo stare insieme è spesso una forzatura che si trasforma in frustrazione e i figli si ritrovano così destinati a subire le conseguenze del senso di inadeguatezza sperimentato dai genitori sul loro benessere psicofisico.


Individuare allora quell’insieme di pregiudizi inconsci, persino più potenti degli stereotipi, che influenzano ancora dal profondo le nostre aspettative di genere e modellano anche pratiche e istituzioni non risulta più essere solo un obiettivo culturale, sociale ed economico, bensì uno sforzo comune da compiere nella direzione di un benessere collettivo.




(1) Di Giandomenico, S., Marchetti, D., Fontanesi, L., & Verrocchio, M. C. Impatto psicologico del lockdown sui genitori. Nuovo coronavirus e resilienza, 124.

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