‘MY SON HAS TURNED INTO A HERMIT’: IS CORONAVIRUS CREATING A GENERATION OF AGORAPHOBES?
INDIPENDENT – BY ALEX WILLIAMS – OTT. 23 2020
L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia da COVID-19 e la crisi mondiale che ne è derivata ha rappresentato il primo grande “sconvolgimento” che ha generato preoccupazione e apprensione in tutto il mondo; in seguito, la chiusura di tutte le attività, ed infine lo stress psicologico e tutti i suoi correlati hanno accentuato paure e timori.
I lockdown che si sono susseguiti nel corso dello scorso anno sono stati vissuti in modo diverso da ognuno di noi, ma ci sono degli aspetti, in linea generale, comuni: se in un primo momento il restiamo a casa è stato colto come un invito temporaneo e denso di responsabilità, spesso avvertito come occasione per passare più tempo con i propri cari, rallentare i ritmi frenetici del lavoro e godersi la vita domestica, con il tempo tutto ciò è diventato asfissiante, opprimente e instabile. La seconda e la terza ondata sono state caratterizzate da una dissonanza interna tra il senso di responsabilità per il bene comune e i propri bisogni di socialità, aria aperta, svago.
La rivista britannica Indipendent, con un articolo di Alex Williams intitolato “My son has turned into a hermit: Is coronavirus creating a generation of agoraphobes?” – “Mio figlio è diventato un eremita: il coronavirus sta creando una generazione di agorafobici?”, ha rivolto l’attenzione verso una fascia della popolazione che ha iniziato ad essere considerata forse troppo tardi: i bambini. I bambini così resilienti, così piccoli per riuscire a capire la situazione, così flessibili da potersi adattare a tutto questo. Ma è davvero così?
Si parla di una generazione, quella dei più piccoli, per cui pare essersi configurata una situazione differente. Se il binomio casa sicura - mondo pericoloso è stato alla base della presa di coscienza della gravità della situazione da parte di tutti, tale scenario ha inciso in modo profondamente diverso nella popolazione. Quando tutti hanno iniziato ad attendere trepidanti il momento in cui poter uscire di casa, alcuni bambini hanno smesso di farlo.
Nina Kaiser, psicologa dell’età evolutiva a San Francisco, il cui team è composto da nove terapeuti specializzati in disturbi d’ansia, sottolinea come sia del tutto comprensibile che i bambini, dopo aver appreso dai propri adulti di riferimento il dogma “Io resto a casa”, ora si ribellino all’idea di lasciare la propria casa, unico luogo sicuro durante i lunghi mesi di lockdown.
Inoltre, come ricorda Golda S. Ginsburg, docente di psichiatria all’università del Connecticut, «per i più piccoli è difficile operare un’analisi del rischio perché non sono ancora abbastanza maturi dal punto di vista cognitivo. In particolare, i bambini con problemi legati all’ansia tendono a sovrastimare il rischio e a sottostimare le proprie strategie di coping».
Molti psicologi specializzati in età evolutiva hanno accolto spesso nei loro studi le preoccupazioni delle famiglie e la loro richiesta di supporto nel convincere i propri figli ad uscire di casa, cercando allo stesso tempo di comprendere i meccanismi alla base di questo fenomeno. Di fatto, le indicazioni riguardo ai dispositivi di protezione individuale e alle regole di distanziamento da rispettare rappresentano, soprattutto nella mente dei più piccoli, un costante promemoria della presenza di un pericolo in agguato oltre la porta di casa; ad esempio, le mascherine possono rimandare all’immagine del medico, dell’ospedale, della malattia e, dunque, della paura e della sofferenza.
La psicologa Mary Alvord, che lavora quotidianamente con bambini affetti da problematiche di tipo ansioso, ha analizzato il fenomeno cercando di valutare il rischio di una deriva agorafobica, specificando che «l’agorafobia è la paura di uscire di casa da soli o trovarsi in luoghi affollati, ma deve essere caratterizzata da paura particolarmente intensa».
Infatti, secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, l’agorafobia è un disturbo d’ansia che implica la paura di trovarsi in un luogo in cui si ha la percezione che le vie di fuga siano difficilmente raggiungibili e porta, chi ne è affetto, a sensazioni di impotenza e, alle volte, ad attacchi di panico. Questo quadro non appare in linea con quanto sta accadendo ai bambini oggi. Inoltre, aggiunge la dottoressa Alvord, «ci sono alcuni bambini che semplicemente non vogliono lasciare la loro casa perché è confortevole. Per loro, più che di paura, si tratta di desiderio di percorrere la strada più semplice e sicura: “No, preferisco stare a casa, chattare con i miei amici e giocare con loro ai videogiochi”».
Shruti Kapoor, considera la scelta di stare in casa di sua figlia Diya di 4 anni in questi termini: «Diya dice di non aver mai avuto paura, sentendosi semplicemente più a suo agio in casa. Ma ho notato come ci fossero momenti in cui le prudeva il corpo, o si grattava la faccia, come se fosse nervosa o ansiosa. Penso si trattasse dell’essere rinchiusi e isolati».
La casa, con il tempo, è diventata un rifugio da cui poter osservare il pericoloso e minaccioso mondo esterno. Tramite i videogiochi, primo fra tutti Roblox, sempre più utilizzato durante i mesi di lockdown soprattutto da adolescenti e preadolescenti, anche i più piccoli hanno avuto la possibilità di esplorare grandi città, organizzare feste e incontrare amici. Nel confronto tra le opportunità offerte dal mondo virtuale e dalla realtà del mondo fuori dalla finestra della loro cameretta, non sorprende la propensione dei bambini nei confronti della libertà concesse dalla vita virtuale.
Cosa fare, a questo punto? La dottoressa Ginsburg chiarisce come i disturbi d’ansia possano svilupparsi in bambini che scivolano verso un pattern di evitamento dell’ambiente esterno, e aggiunge «è importante identificare le cause dell’ansia. Per alcuni bambini, la paura è la separazione. Qualunque sia la specifica paura, il nucleo del trattamento dei disturbi d’ansia è agire l’opposto di ciò che vuole essere evitato». Gradualmente ed empaticamente, quindi, i genitori dovrebbero accompagnare i propri figli alla riscoperta del mondo esterno.
Diversi genitori intervistati si sono chiesti se possano esserci conseguenze psicologiche a lungo termine derivanti dall’evitamento del mondo esterno dei loro figli. «I bambini sono incredibilmente resilienti» ha spiegato la dottoressa Kaiser «Cercate di non essere reattivi, e prendete le distanze dal validare il desiderio dei bambini di stare a casa».
A distanza di un anno dallo sviluppo della pandemia da COVID-19, alcuni bambini sembrano aver interiorizzato le regole imposte tanto da non riuscire ad estinguerle o ad interiorizzarne di nuove.
La paura mascherata da comodità è ormai entrata a far parte della vita di un’intera generazione, troppo spesso dimenticata, troppo spesso costretta a enormi sacrifici. L’empatia, la comprensione e il tempo sembrano poter essere gli unici strumenti in grado di accompagnare questi bambini alla scoperta di un mondo nuovo, più sicuro e accogliente.
Traduzione e commento di Francesca Torretta e Giulia Romano
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