E non lasciare che l’ansia e il senso di colpa ti condizionino la vita di Francesca Bianco Eravamo abituati al fatto che la nostra vita lavorativa e la nostra vita privata occupassero spazi fisici e mentali nettamente separati. Per molti, questa distanza era scandita ogni giorno da una camicia stirata e una corsa per prendere il treno, ma durante la pandemia le nostre abitudini sono cambiate e sembrano essersi riassestate in modo differente. I confini tra il lavoro e la dimensione privata si sono assottigliati e non abbiamo ancora trovato il modo di gestirli.
La prassi di stabilire confini sani è stata alla base dei libri di crescita personale fin dagli anni ‘80, ma nel 2022 quest’idea torna ad essere una priorità per molti di noi. Infatti, dopo un periodo in cui la nostra vita digitale si è espansa a dismisura, mentre la nostra libertà di movimento nello spazio fisico è stata limitata, capire come tracciare una linea di confine non è mai stato così difficile, e non solo all'interno della dimensione lavorativa. L’onnipresenza della tecnologia nelle nostre vite sembra implicare la richiesta che ognuno di noi, in qualità di amico, di partner, di genitore, risulti disponibile in qualunque momento, per chiunque necessiti della nostra attenzione.
Dovunque, infatti, la tecnologia digitale ha assottigliato i confini che mantenevano la nostra vita organizzata in compartimenti separati, comportando una maggiore fragilità anche dei nostri confini psicologici. Ma cosa fare a riguardo?
In contrasto alla convinzione erronea che associa la presenza di confini definiti ad una posizione di freddezza e distacco, se non di puro egoismo, l’autrice Melissa Urban la definisce come ciò che ci permette di delimitare le modalità con cui permettiamo a diverse persone di relazionarsi con noi, che ci aiuta a tutelare la nostra salute e il nostro benessere, migliorando la relazione stessa.
Un’area nella quale molte persone faticano a stabilire confini sani è quella della carriera. Anche dopo la fine delle restrizioni imposte durante il lockdown, molti lavoratori hanno continuato a trascorrere almeno alcune giornate della settimana lavorando da casa. Questo è stato considerato come uno sviluppo positivo per molti, in grado di garantire maggiore flessibilità e un migliore equilibrio vita-lavoro, tuttavia per molte persone, le giornate in smart-working sono le più stressanti della settimana.
Senza le pause caffè e senza altre occasioni per chiacchierare del più e del meno, infatti, gli scambi comunicativi fra colleghi possono risultare eccessivamente forzati e le nostre capacità di esprimere normali richieste o porre dei limiti sani, può vacillare.
Inoltre, la vicinanza fisica facilita notevolmente lo scambio di feedback, anche non verbali o impliciti, circa la significatività del proprio contributo all’interno di un team di lavoro. Questo influenza il valore percepito del proprio lavoro e il proprio senso di autoefficacia professionale.
Questo senso di insicurezza rispetto al proprio operato, unito a una mancanza di confini definiti delle richieste che ci provengono dal nostro contesto lavorativo, possono restituire alle persone la sensazione che i propri sforzi non siano mai sufficienti, e determinare un pervasivo sentimento di colpa e inadeguatezza.
Un tale sovraccarico emotivo, se eccessivamente prolungato nel tempo, può arrivare ad assumere il carattere di un vero e proprio esaurimento emotivo e un cronico senso di inefficacia professionale, che viene definito dai teorici della psicologia del lavoro con il nome di burn-out.
I teorici Maslach e Jackson (1978) hanno sottolineato come alcune dimensioni, come la sensazione di una scarsa autonomia e controllo sulle tempistiche e le modalità delle proprie mansioni, la presenza di processi comunicativi distorti tra vertice e base della gerarchia organizzativa e la scarsa percezione di significatività dei compiti svolti, possano contribuire a determinare un circolo vizioso di stress e aumentare il rischio di burn-out.
Nel lavoro da remoto, tuttavia molte di queste dimensioni si trovano ad essere al di fuori del controllo dell’organizzazione. Così, rimane alla singola persona il compito di farsi carico della strutturazione del proprio lavoro e di stabilire delle priorità definite nelle sue attività. Se da un lato, infatti, il lavoro da remoto è stato spesso associato, con accezione positiva, alla garanzia di una maggiore flessibilità e autonomia, nel momento in cui ci confrontiamo con la compresenza, in uno stesso spazio e tempo, di stimoli provenienti dalla propria sfera lavorativa e da quella intima e familiare, è facile che molti di noi si trovino a vivere una confusione tra piani, che dovrebbero altrimenti essere caratterizzati da confini e distanze relazionali differenziate.
Questa confusione si va ad aggiungere alle costanti stimolazioni che riceviamo ogni giorno dalle notifiche pop-up delle e-mail e delle nostre app di messaggistica istantanea, che hanno modificato le caratteristiche del lavoro che svolgiamo ogni giorno, richiamando la nostra attenzione a tempi alterni, interrompendoci e costringendoci a ridefinire continuamente le nostre priorità. Tutto ciò può contribuire a restituirci un senso di mancanza di controllo sul lavoro, mettendo a rischio il nostro benessere psicofisico.
Come sottolinea Urban, una mail o una notifica che ci ricorda di una determinata deadline, stimolando il circuito dopaminergico della ricompensa, ci muove automaticamente all’azione, motivandoci a raggiungere un obiettivo e completare un task. Tuttavia, questo meccanismo ha il potenziale di sfuggirci di mano e trascinarci in un loop di assorbimento costante dal quale è difficile prendere le distanze, rendendo difficile anche solo il fatto di accorgersi di avere bisogno di una pausa per distendere la tensione o mangiare un boccone.
Quando manca una separazione fisica tra il nostro luogo di lavoro e il luogo dove torniamo la sera a riposarci, sta solamente a noi la responsabilità e la fatica di tracciare una linea di confine tra la giornata lavorativa che si conclude ed i momenti che possiamo dedicare alle nostre relazioni interpersonali, alla cura di noi stessi o al riposo.
Il primo passo, ad avviso di Urban, sarebbe quello di identificare i confini relazionali appropriati per una determinata situazione interpersonale, sia essa lavorativa, sentimentale, dal vivo o digitale. Tuttavia, questa cosa non è sempre facile, dal momento che il nostro senso del limite spesso non viene percepito in modo definito, ma si esprime sotto forma di vaghi sentimenti di angoscia e ansia.
In questo modo, insieme allo sviluppo di maggiori competenze organizzative, che si rende necessario nel momento in cui ci è richiesta una maggiore strutturazione autonoma del nostro lavoro, diventa al contempo molto più importante sviluppare sempre più raffinate competenze di autoconsapevolezza di sé. Saper riconoscere una vaga sensazione di disagio e saperla ricondurre ad un bisogno fisico o emotivo, al quale non stiamo prestando la giusta attenzione perché troppo assorbiti dai nostri impegni lavorativi, potrebbe infatti rivelarsi sempre più cruciale per i lavoratori del futuro. Inoltre, fra le numerose interazioni, digitali e non, che abbiamo ogni giorno in situazioni diverse, sarà sempre più utile riuscire a comunicare le nostre esigenze e i nostri limiti in modo chiaro e assertivo, e riconoscere le distanze relazionali appropriate per diversi contesti.
Questa capacità di autoconsapevolezza, ha anche a che fare con la mentalizzazione di sé, ovvero la capacità che possiamo allenare, di leggere il nostro stato emotivo e attribuire un senso alle nostre sensazioni. È fondamentale, dunque, fra tutti gli stimoli che riceviamo, che sembrano talvolta fare a gara per attirare la nostra attenzione, che riusciamo ogni tanto, nel corso delle nostre giornate, a ricavarci un momento per riprendere contatto con noi stessi e rintracciare tutte quelle situazioni in cui potrebbe essere necessario delineare dei confini più chiari per stare meglio.
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